giovedì, settembre 08, 2005

Straniero

Salve a tutti, erranti del web. Mi siedo qui ora, davanti al pc, per porre uno spunto di riflessione, per suscitare interesse verso la definizione di una condizione umana per me comune a molti, se non a tutti: l'essere estraneo, il sentirsi straniero.
Riporto qui di seguito il testo di una canzone di Alessio Lega, premio Tenco 2004, che tratta proprio della condizione dello straniero.

"…E da una riva a un’altra riva percorsi questo mare
Quando arrivai all’attracco e scesi a questo nuovo porto
E trascinavo la mia vita, chissà per arrivare
Chissà per ritornare o non sentirmi ancora morto…

Sono venuto a sta città
Come straniero che non sa
Come un insulto al cielo nero
In questa pioggia ostile
Lo stile fosco dell’età
E la pietà per questa gente
In tutto questo niente, il vento
Che batte il mio pensiero
E me ne andrò, io mi dicevo
Di notte, come uno straniero
Andrò davvero io non devo
Niente a nessuno andrò leggero via.

Da marciapiede a marciapiede poi si disperde il sogno
Bisogna pur cedere al fondo un’ancora d’appiglio
Però io veglio inquieto ancora e traccio a questo stagno
Punto di fuga che non sia famiglia, moglie o figlio mio

E così vivo in sta città
Come straniero che non parla
La lingua della società
- Il tarlo nella perla –
Sono straniero alla mia via
Mi sento ignoto anche agli specchi
Ai vecchi amici, a casa mia
A ciò che guardi o tocchi
Ho fiori secchi sul balcone
E la pensione per traguardo
Alzo lo sguardo a ogni stazione
Già certo del ritardo mio

Da vita a morte è solo storia di grottesca assenza
Di sete d’aria fresca e nuova e fame di vacanza
Così ogni tanto cerco attorno chi dallo sguardo fa sfuggire
Sul piombo grigio d’ogni giorno la voglia di partire

Siamo stranieri a sta città
Siamo stranieri a questa terra
A quest’infame e dura guerra
Alla viltà e al letargo
Prendiamo il largo verso altrove
Dove non seppellisci i sogni
Dove non inghiottisci odio
E arrivi a odiare i tuoi bisogni…
O morte vecchio capitano
Salpiamo l’ancora, su andiamo
Inferno o cielo cosa importa
Da questa vita morta
Come straniero partirò
Senza più niente da sperare
Fra quattro assi e dieci chiodi
Vedi c’è odor di mare… e ciao "

Vi propongo anche un libro per approfondire l'argomento, "Bora", pagine di lettere scritte da Anna Maria Mori e Nelida Milani, due donne soggette alla condizione di straniere nella propria terra, quella di Pola, "passata" dall'Italia alla Jugoslavia al termine della seconda guerra mondiale.
Consiglio anche un ulteriore lettura, "Il deserto dei tartari" di Dino Buzzati. E' un libro che può creare un collegamento tra il concetto di frontiera che ho enunciato nella prima "pubblicazione"e la condizione di straniero che invece affronto qui adesso.

2 Comments:

Blogger Giorgio Paterna said...

Eccomi di nuovo qua, davanti al computer, con una sigaretta che spenzola dalla bocca e con l'intenzione di dare un esempio della condizione di straniero.
Vivo in una cittadina che non mi appartiene, conosco persone che non mi capiscono e che non capisco, che parlano un'altra lingua. Si, pensano come me, ma traducono i loro pensieri in maniera diversa, come se la loro traduzione da pensiero a parole sia per me scorretta. Accomunati dagli stessi pensieri ma divisi dal modo di tradurli. Eppure parliamo la stessa lingua. C'è chi mi definisce "presuntuoso" perchè ritengono scorretto il mio modo di fare, perchè pensano che la mia traduzione tra pensieri espressi e e il mio operare sia contraddittorio... e pensare che avrei detto lo stesso di loro. D'altro canto è ovvio, se non pensassi lo stesso di loro, se il mio modo di "tradurre" non fosse diverso e agissi come agiscono loro, non mi riterrebbero contraddittorio. Il punto è: qual è il modo corretto di agire? Il loro o il mio? Beh... il mondo è bello perchè è vario, ma non posso in nessun modo concepire che qualcuno la pensi come me e poi faccia in maniera diametralmente opposta senza poi sentirmi estraneo, straniero. Soprattutto se in quel posto, a differenza di altri luoghi, la maggior parte delle persone agiscono alla stessa maniera.
Spero di aver dato l'idea di un esempio, il mio, della condizione di straniero.

9/10/2005 01:13:00 PM  
Blogger Zarathustra said...

Credo la tua sia la condinzione di molti, disperati vagabondi dell'esistenza.
Non cerdo però che si debba parlare in termini di giusto e sbagliato, credo si debba parlare in termini di agire e non agire.
"Loro" non agiscono e spaventati da chi tenta di farlo, da chi vuole uscire dalla loro fanghiglia, da chi vuole "vagabondare", attaccano per non soccombere.
Essi non sono capaci di dire chi sono, sono solo capaci di dire chi o cosa non sono, chi o cosa non dovrebbero essere.
Il vagabondo è pericoloso perchè lascia consapevolmente tutti i valori, tutti gli appigli precostituiti, per trovarne di propri.
Il vagabondo in realtà è l'unico che non vaga, è l'unico che sa dove vuole andare, è l'unico che può deciderlo.

9/14/2005 10:12:00 PM  

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